LE BASI BIOLOGICHE DELL’AUTISMO

Il contributo della ricerca genetica

Tratto dal manuale di consultazione 2° edizione

Valentino Romano, C. I. per la ricerca clinica e sperimentale sull’autismo e sugli altri disturbi generalizzati dello sviluppo (C.I.R.A.), Università degli studi di Palermo.

Premessa

Negli ultimi anni la ricerca biologica sull’autismo ha generato una gran quantità di dati in vari ambiti disciplinari, dalla neurofisiologia alla genetica. Forse, il progresso più significativo realizzato da questi studi è consistito nell’aver realizzato quanto variabile e complesso sia l’Autismo sia nell’espressione qualitativa e quantitativa dei sintomi, sia nella sua base eziologica. La ricerca genetica, e in prospettiva quella sul genoma, hanno avuto e sempre più avranno un ruolo di primo piano per comprendere le alterazioni dello sviluppo del sistema nervoso che precedono le manifestazioni cliniche e sub-cliniche tipiche della sindrome autistica. E’ grazie alla comprensione di questi processi che potranno essere identificati biomarkers precoci dell’Autismo e potranno essere sviluppati nuovi e più efficaci trattamenti terapeutici per i pazienti.

Le basi genetiche dell’Autismo

Quale è la causa dell’Autismo ? Purtroppo questa è una domanda alla quale, ancora oggi, non sappiamo dare una risposta: nella maggior parte delle persone con Autismo la causa rimane sconosciuta. La numerosità di sintomi clinici e le altre alterazioni evidenziabili con il supporto di indagini strumentali tuttavia ci suggeriscono una molteplicità di cause. Grazie agli studi condotti negli ultimi anni molti ricercatori oggi ritengono che tra queste cause vi siano quelle genetiche e quelle ambientali.

Esiste una base genetica nell’Autismo ? Tra gli studi che hanno contribuito a rispondere affermativamente a questa domanda predominano per importanza le ricerche condotte sui gemelli con Autismo. Nei gemelli identici (monozigotici) è stata osservata un’elevata concordanza (70–90%) per l’Autismo. Ciò significa che se, ad es., consideriamo 100 coppie di gemelli nelle quali almeno uno dei due gemelli è autistico, vi saranno solo 80 coppie ca. con entrambi i gemelli autistici. Nei gemelli non identici (dizigotici) la concordanza è invece molto più bassa (0–10%). Questi dati sono in favore dell’esistenza di una base genetica per l’Autismo in quanto i gemelli monozigotici hanno lo stesso patrimonio genetico, due gemelli dizigotici condividono invece solo il 50 % dei loro geni. L’esistenza di una base genetica per l’Autismo è inoltre supportata dall’osservazione che nelle famiglie con un bambino autistico il rischio di avere un secondo figlio autistico è 25 volte superiore a quello di una coppia qualsiasi della popolazione generale. Vi sono poi numerosi studi che confermano l’ipotesi genetica in quanto riportano di alterazioni (mutazioni) genetiche o cromosomiche evidenziabili dall’analisi delle cellule dei soggetti con Autismo. Ad esempio, è stato osservato che mutazioni in particolari geni aumentano di molto il rischio di contrarre la malattia. Casi di questo tipo sono ben illustrati dall’associazione dell’Autismo con malattie ereditarie quali la sindrome del cromosoma X Fragile, la Sclerosi Tuberosa, la sindrome di Angelman. In tutti questi casi la patologia è causata da mutazioni in un solo gene.

I fattori di rischio ambientale

Oltre alle cause genetiche, molti ricercatori ritengono che tra le cause dell’Autismo vi siano anche i fattori ambientali. Questa ipotesi trova ad esempio sostegno nell’osservazione, riportata sopra, che nel 20 % ca. dei gemelli monozigotici (stesso patrimonio genetico) l’Autismo è presente in uno solo dei due gemelli. Si tratta di una prova indiretta dell’esistenza di altri fattori eziologici (non genetici). Sulla natura di questi fattori di rischio ambientale conosciamo ancora molto poco e sarebbe auspicabile saperne di più. Infatti, almeno in teoria, è molto più facile immaginare terapie per l’Autismo basate sulla rimozione dei fattori di rischio ambientale piuttosto che a terapie che mirano ad una “correzione” dei fattori di rischio genetico. Tra le cause ambientali che sono ritenute di una certa importanza nell’Autismo vi è l’esposizione delle madri durante la gravidanza ad infezioni virali quali il virus della rosolia e il citomegalovirus o a sostanze chimiche quali il talidomide o l’acido valproico.

Una puntualizzazione: fattori di rischio genetico e ambientale nell’Autismo non vanno considerati necessariamente in modo separato. E’ ad esempio possibile che una particolare combinazione di geni conferisca ad un individuo solo una suscettibilità, cioè un rischio latente, per l’Autismo e che sia invece la presenza di uno o più fattori ambientali a convertire quella potenzialità nella comparsa conclamata dei sintomi tipici della malattia.

L’importanza dello sviluppo prenatale e postnatale

E’ molto probabile che l’Autismo sia il risultato di un’alterazione del normale decorso dello sviluppo del sistema nervoso centrale. Nel causare queste alterazioni svolgono un ruolo proprio i fattori genetici e quelli ambientali che possono agire o da soli o cooperando tra di loro. Fattori diversi possono entrare in azione in momenti diversi, prima, durante o dopo la nascita. Anche se la specifica natura del danno cerebrale durante lo sviluppo può essere diversa secondo il tipo, modo e tempo di azione dei fattori eziologici (genetici e/o ambientali), l’evento finale sarà sempre lo stesso: la comparsa dei deficits che complessivamente definiamo con il termine di Autismo. Negli anni 80’ la psicologa Uta Frith, proponeva che i sintomi presenti nelle persone con Autismo fossero la manifestazione di un deficit psicologico, da lei denominato “Weak Central Coherence”). Per la Frith, una “debole coerenza centrale” stà alla base della limitata capacità dei pazienti di comprendere il contesto globale di una situazione, ma allo stesso tempo della spiccata capacità dei pazienti di percepire i dettagli o l’attenzione per le piccole parti un oggetto. In altre parole, e semplificando, la persona con Autismo privilegerebbe il dettaglio a discapito della percezione e della comprensione integrata della realtà. Studi successivi di neurofisiologia hanno poi mostrato che nell’Autismo vi sarebbe una mancata comunicazione, o disconnessione, tra aree diverse della corteccia cerebrale, le stesse che presiedono alle funzioni superiori quali ad es. il comportamento sociale e il linguaggio. Secondo Daniel Geschwind, eminente scienziato dell’Università di Los Angeles (U.C.L.A.), l’origine di questa disconnessione sarebbe da ricercare proprio nello sviluppo embrionale e fetale del sistema nervoso centrale. Il termine inglese usato da Geschwind e altri per definire l’alterata connettività neuronale durante lo sviluppo è “developmental disconnection”. Specificamente, una disconnessione durante lo sviluppo potrebbe essere potenzialmente causata da un gran numero di processi: una mancata formazione delle sinapsi o la formazione di sinapsi disfunzionali, un’anomala migrazione dei neuroni, un eccesso o un difetto nel numero di neuroni, un’alterata formazione e crescita degli assoni o dei dendriti etc.

Il contributo della genetica molecolare e le promesse delle ricerche sul genoma

Riuscire ad identificare quale è, in uno o più pazienti, il particolare processo cellulare o molecolare che ha alterato lo sviluppo non è impresa facile, soprattutto per l’impossibilità di condurre questi studi direttamente nel paziente, nel feto o nell’embrione. La genetica ci offre la possibilità di utilizzare un approccio alternativo e di superare, almeno in parte, queste difficoltà. E’ infatti noto che l’impalcatura della connettività neuronale di base si instaura nel periodo prenatale utilizzando meccanismi genetici. Quindi un’ipotesi di lavoro molto interessante sarebbe quella di chiarire quali sono nei pazienti autistici i geni coinvolti in questi processi e in che modo le mutazioni in questi geni possono alterare il corretto collegamento tra i neuroni. Inoltre, poiché l’azione dei geni (non mutati) può essere anche influenzato e in modo significativo dall’ambiente uterino (es., malnutrizione, stress materno, infezioni che stimolano il sistema immunitario, esposizione a tossine, abuso di farmaci, etc.) sarebbe altrettanto importante riuscire a capire quali fattori ambientali possono alterare la connettività neuronale e in quale modo. Ricerche molto avanzate su questi temi sono in corso in vari laboratori sia in Italia che all’estero. Tra i risultati di maggior rilievo ottenuti negli anni più recenti vi è quella relativa all’identificazione di geni di suscettibilità per l’Autismo che codificano per proteine che hanno un ruolo importante proprio nella formazione della connettività neuronale (i cosiddetti “geni della connettività”). Alcuni esempi rilevanti riguardano l’identificazione dei geni codificanti per le neuroleghine 3 e 4 e per le neurexine 1 e 3, tutti coinvolti nella formazione e nel funzionamento delle sinapsi, il gene SHANK3,che codifica per una proteina implicata nello sviluppo dei dendriti; la reelina, essenziale per la stabilizzazione dell’organizzazione laminare di base della corteccia cerebrale e altri ancora.

Nell’Autismo, la relazione tra fattori genetici, fattori ambientali e manifestazioni cliniche e sub-cliniche è certamente molto complessa. Un aspetto importante di questa complessità riguarda la natura multifattoriale dell’eziologia di questa patologia. In altre parole la causa dell’Autismo non và ricercata in un singolo gene, bensì in una combinazione di fattori genetici ed ambientali, quest’ultimi collegati con la peculiare storia naturale della gravidanza. I nuovi studi sul genoma possono, meglio dell’analisi dei singoli geni, esplorare la complessa architettura genetica dell’Autismo. I risultati di vari studi molto recenti ci confortano nel ritenere che questo approccio promette di svelare nel prossimo futuro molti dei misteri che ancora avvolgono la complessa relazione che esiste tra genoma e manifestazioni cliniche nell’Autismo.

Sono molte le speranze oggi riposte nello studio delle basi biologiche dell’Autismo, nella prospettiva sempre più vicina di poter individuare biomarkers che possano essere utilizzati per consentire una diagnosi precoce (durante la gravidanza o poco dopo la nascita). Se realizzata, una tale possibilità avrebbe importanti ricadute positive sia per la prevenzione che per il buon esito delle terapie adottate al momento. Da queste stesse ricerche ci si aspetta inoltre lo sviluppo di nuovi farmaci e nuove strategie terapeutiche prenatali e postnatali che possano, se non proprio correggere del tutto la patologia, almeno attenuare la dimensione dei deficits comportamentali che affliggono i bambini autistici sin dai primi anni di vita.

Estratto del Manuale di consultazione. Richiedilo qui

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